Il Seicento
Ultima modifica 21 gennaio 2019
Il Seicento vede Milano sotto il predominio spagnolo e proprio a Milano si trovava il governatore assistito da un Consiglio Segreto e una Congregazione di Stato, mentre a Napoli e a Palermo risiedevano due Vicerè. È noto quanto deleteria sia stata la ottusa amministrazione spagnola per i paesi soggetti: un fiscalismo eccessivo essiccava le fonti della produzione; militari e funzionari si mostravano venali ed intenzionati solo ad arricchirsi; il governo centrale appariva lento e poco attento alla voce dei sudditi; un conformismo religioso bigotto e superstizioso soffocava ogni forma di libertà del pensiero; un costume ispirato a vuota ostentazione mostrava disprezzo per il lavoro manuale frenando lo sviluppo economico pubblico e privato. Anche se la mentalità spagnola era più incline ad accogliere lo spirito severo ed integralista della Controriforma, che combatteva il Protestantesimo con decisione e durezza, pure non mancarono anche in questo periodo figure della stature di Federico Borromeo, che agirono piuttosto nello spirito della Riforma Cattolica cercando la diffusione del Cattolicesimo con l'esempio e l'evangelizzazione.
La vita del paese emerge ancora più chiaramente da una serie di testimonianze di carattere civile. Anche in questo secolo poche sono le famiglie notabili di Lainate.
Oltre ai Borromeo e ai Girami troviamo ora i Simonetta, eredi di Margherita Galarata, e i Borro, che si imparentano coi Girami. (Quattrocento pertiche del territorio di Lainate costituiscono infatti parte della dote nello "scritto matrimoniale" del 20 gennaio 1600 redatto per il matrimonio fra Anna Elisabetta Girama e Simone Borro).
Dai documenti relativi ai numerosi acquisti effettuati dai Borro conosciamo il nome di alcuni piccoli proprietari (famiglia Bosona, Ambrogio Taverna, fratelli Lomeni), che alienavano i loro beni, e la denominazione di alcune vigne ("vigna detta il Novellino", "vigna detta alla Novella o gia alla Morandina", "vignola apelata la Banfa"), che confermano quanto fosse allora diffusa la coltivazione della vite.
Oggetto di vendita non erano soltanto terreni o beni immobili: il giorno 8 febbraio 1608 il Casello Curatore delI'eredità di Cristoforo Giramo vende a Simone Borro, fra l'altro, il reddito che veniva pagato dalla Comunità di Lainate e il 18 giugno 1649 la Regia Ducale Camera di Milano vendeva a Giovanni Battista Riva la facoltà di riscuotere il dazio sul vino al minuto e sul pane venale.
La terribile pestilenza del 1630 non aveva colpito Lainate, stando a quanto affermavano in data 1° aprile 1647 Filippo Petraro e Pietro Rolfo, rispettivamente Console e Sindaco del Comune, con Steffano Cardano, che firma anche per il Rolfo "per non saper lui scrivere".
I tre sostennero che "in detta terra non e stata peste once tanti sono li focolari adesso, quanti prima, cioe come centosessantauno, et tre case da Nobili con la Parrochiale. Alla Granchia sono focolari sette. Alla Paiera tre".
I focolari, cioè le famiglie, erano quasi raddoppiati dunque rispetto agli 83 del 1585 e di nuovo si sostiene che la Comunità di Lainate non era infeudata ma direttamente sottoposta alla Regia Giurisdizione, nonostante il giuramento di fedeltà dei Borromeo del 1470: a questo proposito bisogna tenere presente, oltre al succedersi delle diverse dominazioni, anche il fatto che non sempre e non dovunque valeva il principio della ereditarietà del rapporto feudale di vassallaggio (non del feudo), che manteneva perciò il suo carattere personale e valeva dunque solo per le persone che lo contraevano.
Delle "tre case da nobili" senz'altro la più importante era la Villa: Pirro I Visconti Borromeo, il figlio Fabio e il nipote Pirro II la ingrandirono e abbellirono a più riprese perchè facesse da degno sfondo agli sfarzosi ricevimenti che contribuirono a dilapidare il patrimonio della famiglia, tanto che alla morte del marito Pirro II, avvenuta nel 1676, la marchesa Bianca Spinola fu costretta a cederla ai Litta.